Contestazioni a catena (art. 297 c.p.p.): La parola alle Sezioni Unite. Cass., sez. IV, 03/03/2020 n. 8546
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 febbraio – 3 marzo 2020, n. 8546
Presidente Piccialli – Relatore Picardi
Ritenuto in fatto
1. M.A. , a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Milano, con cui è stato rigettato il ricorso avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare in carcere per i reati di cui l’art. 110 c.p., art. 81 c.p. e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, posti in essere dal febbraio 2012 all’aprile 2017, in ruolo sovraordinato rispetto al complice (acquisto, custodia e rivendita in piccole dosi di ingenti quantità di cocaina), deducendo un unico motivo, avente ad oggetto la violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, e art. 303 c.p.p..
Più precisamente all’udienza del 15 novembre 2019, dinanzi al Tribunale del Riesame, la difesa del ricorrente aveva chiesto la retrodatazione dei termini dell’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.i.p. di Milano in data 23 ottobre 2019, alla data dell’esecuzione di altra misura cautelare adottata, in altro procedimento, dal G.i.p. presso il Tribunale di Monza in data anteriore 7 settembre 2018, con conseguente dichiarazione di inefficacia per decorrenza dei termini massimi già al momento della seconda ordinanza.
Dall’ordinanza impugnata si evince che i reati oggetto della misura cautelare in esame sono stati commessi prima dell’emissione della prima ordinanza cautelare, sono connessi ex art. 12 c.p.p., lett. b e c, con quelli contestati nel differente procedimento ed erano già desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio avvenuto in relazione a tali reati connessi. Il diverso procedimento dinanzi al Tribunale di Monza, in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare, ha determinato la richiesta di rinvio a giudizio in data 12 dicembre 2018, all’esito della quale si è celebrato giudizio abbreviato conclusosi con sentenza di condanna a anni 8 di reclusione.
Il Tribunale del Riesame, pur riconoscendo la sussistenza di tutti i presupposti della retrodatazione, ha aderito all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la retrodatazione della decorrenza dei termini della misura cautelare imporrebbe, per il computo dei termini di fase, di frazionare la durata globale della custodia cautelare subita per prima, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee; ha, altresì, precisato che il computo per fasi omogenee non comporta un trattamento deteriore o una dilatazione dei termini di custodia dal momento che opera all’interno del rispetto della disciplina di cui all’art. 303 c.p.p., che costituisce la norma di chiusura del sistema.
Con la doglianza formulata il ricorrente ha invocato l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare ex art. 297 c.p.p., comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare, bensì computando l’intera custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee (da ultimo, Sez. 4, 06 giugno 2017, n. 36088).
2. La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, o in subordine, la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
Ritenuto in diritto
1. Ritiene il collegio che, in ordine alla soluzione della questione di diritto evocata in ricorso, sussista contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.
Invero, l’art. 297 c.p.p., comma 3, ai sensi del quale “se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave”, fatta eccezione per le ordinanze emesse relativamente a quei fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il reato con il quale sussiste connessione, si limita ad individuare il dies a quo dei termini di custodia cautelare, senza chiarire le modalità del relativo computo, su cui si sono formati due diversi orientamenti.
2. Secondo un orientamento più risalente, “in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, impone, ai fini del calcolo dei termini di fase, di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee” (tra le altre, Sez. F, n. 47581 del 21/08/2014 Cc. – dep. 18/11/2014, Rv. 261262 – 01, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto che, al fine di verificare l’eventuale decorso del termine di durata previsto per la fase delle indagini preliminari, il periodo di custodia cautelare sofferto in altro procedimento debba essere computato esclusivamente per la parte compresa tra il momento dell’arresto e quello di emissione del decreto che disponeva il giudizio; nello stesso senso Sez. 6, n. 15736 del 06/02/2013 cc. dep. 04/04/2013, Rv. 257204; Sez. 6, n. 50761 del 12/11/2014 cc. 3/12/2014, Rv. 261700).
Sez. 4, n. 18111 del 02/03/2017, P.M. c. Futia, non massimata, ha, altresì, precisato che il principio della retrodatazione “assume rilievo allorché ambedue i procedimenti, nell’ambito dei quali le susseguenti misure cautelari sono state emesse, versino nella medesima fase; mentre laddove il procedimento nell’ambito del quale è stata emessa la prima misura cautelare sia passato a una fase successiva, in costanza dell’efficacia della misura ivi applicata, la ratio stessa dell’istituto della contestazione a catena implica che la misura da ultimo applicata non perda di efficacia quand’anche il procedimento cui essa accede versi ancora nella fase antecedente (ad esempio, in quella delle indagini preliminari)”.
3. A tale orientamento se ne contrappone un altro.
La VI sezione (n. 3058 del 28/12/2016 cc., dep. 23/1/2017, Rv. 269285) ha, infatti, ritenuto che, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee. Si è, difatti, osservato che “Il passaggio di fase nel procedimento nel quale è stato emesso il primo titolo custodiale nella retrodatazione influisce (…) soltanto nei limiti di cui alla seconda parte dell’art. 297, comma 3, dovendo la stessa operare solo se i fatti per i quali è stata emessa la seconda misura, legati da connessione qualificata, erano già desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio. Ma non può certo determinare la diluzione dei termini di custodia cautelare. Attraverso frazionati passaggi di fase dei procedimenti, che dovevano procedere riuniti, si verrebbe a vanificare quella che il Giudice delle leggi ha identificato come la fondamentale garanzia sottesa alla regola della retrodatazione, che è quella….della necessità di concentrare in un unico contesto temporale le vicende cautelari, destinate a dar luogo a simultanei titoli custodiali (perché relative a quelle situazioni tipizzate dalle Sezioni Unite, cfr. Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato). Se è questa la finalità del meccanismo di cui all’art. 297 c.p.p.,comma 3, non è certo il mero scomputo del solo presofferto per la fase omogenea a realizzare la garanzia prevista dal legislatore, proprio perché, alla base dell’istituto, vi è la constatazione che i diversi titoli cautelari dovevano essere emessi simultaneamente, dando luogo ad un medesimo percorso cautelare, indipendentemente dalle scelte del pubblico ministero in ordine all’eventuale separazione dei relativi procedimenti penali”.
4. Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, dep. 10/06/2005, Rv. 231057; Sez. U, 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, Rv. 235909; Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, dep. 20/11/2012, Rv. 253549, non si sono occupate di tale problematica, essendosi limitate a delimitare l’ambito applicativo dell’art. 297 c.p.p., comma 3, anche a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 408 del 2005 e n. 233 del 2011.
5. Il presente contrasto era già stato rilevato da Sez. 2, n. 19100 del 2/05/2018 cc. 3/05/2018 dep., che aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite (v. Sez. U., n. 48109 del 19/07/2018 cc. – 22/10/2018 dep., che ha, però, rilevato l’inammissibilità del ricorso).
6. Nel caso di specie, tutti i presupposti di fatto rilevanti ai sensi dell’art. 297 c.p.p. risultano già accertati dal Tribunale del Riesame, sicché non si pongono problemi di ammissibilità del ricorso, diversamente dalla fattispecie oggetto della decisione di Sez. 5, n. 14713 del 06/03/2019 cc. – dep. 03/04/2019, Rv. 275098 – 01 (In tema di misure cautelari personali, è inammissibile il ricorso diretto per cassazione avverso l’ordinanza applicativa della misura che deduca la violazione della regola di retrodatazione del termine di decorrenza di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, poiché il relativo accertamento comporta verifiche di merito, incompatibili con il giudizio di legittimità, in ordine al rapporto di connessione tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti, alla desumibilità dagli atti delle posteriori contestazioni e all’interesse attuale della questione, dovendo invece la questione essere proposta, ex art. 306 c.p.p., al giudice delle indagini preliminari e successivamente, in caso di rigetto, al tribunale del riesame in sede di appello ex art. 310 c.p.p., salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero già scaduti).
Inoltre, il ricorrente non ha posto un problema di inefficacia sopravvenuta, ma ha allegato che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza, i termini di custodia fossero già scaduti, denunciando, quindi, un vizio che riguarda la legittimità dell’ordinanza.
Infine, l’indagato ha senz’altro interesse alla sollecitata decisione, essendo contestualmente attinto da due ordinanze che hanno disposto in suo danno la misura cautelare della custodia in carcere, una nel presente procedimento (che versa in fase d’indagine preliminare); l’altra, più datata, nel separato procedimento, in cui si è già concluso il giudizio abbreviato. La misura applicata nell’ambito del presente procedimento potrebbe, infatti, secondo il più recente orientamento, essere dichiarata illegittima.
Del resto, sussiste l’interesse all’accoglimento della richiesta di retrodatatazione della decorrenza del termine di durata della custodia cautelare nel caso di c.d. contestazione a catena qualora da essa derivi un diverso e più favorevole computo del termine di durata della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari, tale da comportare la scarcerazione (Sez. 6, n. 14510 del 9/03/2016 cc. – dep. 08/04/2016, Rv. 266677 – 01) o, comunque, il venir meno di un titolo custodiale.
7 In conclusione, preso atto dell’esistenza dell’illustrato contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione sottoposta a questa Corte dal ricorrente con l’unico motivo formulato, si impone l’intervento regolatore delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., sulla seguente questione di diritto: “Se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee, oppure computando l’intera durata della custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee”.
P.Q.M.
letto l’art. 618 c.p.p., rimette il ricorso alle Sezioni Unite.