Esercizio azione penale. Corte Cassazione, V sezione, 17/01/2020 – 03/04/2020 n. 11337
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 gennaio – 3 aprile 2020, n. 11337
Presidente De Gregorio – Relatore Riccardi
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa all’udienza del 10/09/2019 il Tribunale di Vercelli ha disposto la trasmissione degli atti al P.M. in sede, per le determinazioni di competenza, ritenendo che l’esercizio dell’azione penale mediante citazione diretta a giudizio per il reato di cui all’art. 624-bis c.p., non sia conforme alla previsione normativa, quale deve essere intesa a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 103 del 2017, essendo necessaria la celebrazione dell’udienza preliminare.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vercelli, deducendo l’abnormità del provvedimento impugnato, conseguente all’erronea interpretazione della legge formulata dal Tribunale.
Il ricorrente rammenta che prima dell’entrata in vigore della L. n. 103 del 2017 la giurisprudenza di legittimità aveva statuito che per il reato di cui all’art. 624-bis c.p., deve procedersi con la citazione diretta a giudizio; in assenza di una espressa previsione di legge, a tale conclusione si era pervenuti in forza di un’interpretazione sistematica che faceva perno sulla disciplina valevole per il reato di furto in abitazione e per il reato di furto aggravato, e, in particolare, in considerazione delle pene per essi previste, del tutto coincidenti con quella prevista per il reato di cui all’art. 624-bis c.p..
L’assunto del Tribunale, secondo il quale l’innalzamento della pena prevista per il delitto di cui all’art. 624-bis c.p. ha fatto venir meno il fondamento di quell’insegnamento, non è condivisibile perché l’attuale pena prevista per il reato in parola è pari a quella prevista dall’art. 625 u.c., pacificamente oggetto di citazione diretta.
3. In data 27.12.2019 è pervenuta memoria nell’interesse di D.L.N. e M.N.S. s, imputati nel procedimento di cui trattasi, con la quale si richiede il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Nel tempo anteriore all’entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103 (quindi al 3.8.2017), la giurisprudenza di legittimità ha affermato che per i delitti di furto in abitazione e di furto con strappo, previsti dall’art. 624-bis c.p., si procede con citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’art. 550 c.p.p., atteso che la mancata espressa previsione di tale fattispecie nell’elencazione di cui alla predetta norma è da ricondursi unicamente ad un difetto di adeguamento normativo, cui è possibile supplire in via interpretativa, considerato che il delitto di furto aggravato, ai sensi dell’art. 625 c.p., è inserito tra quelli elencati ed è punito con la medesima pena della reclusione da uno a sei anni (Sez. 5, n. 3807 del 28/11/2017, dep. 2018, Cipolletti, Rv. 272439; analogamente, Sez. 6, n. 29815 del 24/04/2012, Levakovic, Rv. 253173; Sez. 5, 12 aprile 2011, n. 2256, Castriota; Sez. 4, 22 maggio 2009, n. 36881, Nasufi; Sez. 5, 05/11/2002, n. 40489, Zagami; contra, Sez. 4, 7 febbraio 2003, Ciliberti).
In seguito alla modifica dell’art. 624-bis c.p. sono venuti a mutare i minimi edittali previsti rispettivamente per il furto in abitazione non aggravato (comma 1: da uno a tre anni di reclusione) e per il furto in abitazione aggravato (comma 3: da tre a quattro anni di reclusione); sono invece rimasti immutati i massimi edittali.
Ne consegue che le ipotesi previste dall’art. 624-bis c.p. hanno mantenuto l’allineamento (del massimo della pena) con la pena massima prevista per il reato di furto aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p..
Per contro, all’art. 624-bis c.p. è stato aggiunto un u.c., nel quale si prevede il divieto di equivalenza e di prevalenza delle circostanze attenuanti, diverse da quelle di cui agli artt. 98 e 625-bis c.p., eventualmente concorrenti con le aggravanti di cui all’art. 624-bis c.p., comma 2.
Ed è quest’ultima previsione che sollecita la valutazione di una sopravvenuta maggior gravità del trattamento sanzionatorio disegnato dal legislatore per il furto in abitazione rispetto a quello delle diverse ipotesi di furto riconducibili alle previsioni degli artt. 624 e 625 c.p., ovvero di quella fattispecie che ha operato quale termine di raffronto, in grado di sostenere una interpretazione della norma processuale in forza della quale anche al delitto di furto in abitazione si applica il modello di esercizio dell’azione penale rappresentato dalla citazione diretta a giudizio.
1.2. Ciò posto, il novum normativo non appare idoneo a fondare il ripudio dell’interpretazione elaborata nel precedente regime.
In primo luogo, non si può mancare di osservare che la modifica è intervenuta in presenza di un diritto vivente che sin dall’anno 2002 (Sez. 5, n. 40489 del 05/11/2002, Zagami, Rv. 225705) riconduce anche il furto di cui all’art. 624-bis c.p. (introdotto dalla L. n. 128 del 2001) alla previsione di cui all’art. 550 c.p.p., comma 2, lett. f); sicché viene in rilievo il tradizione canone interpretativo “ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit”.
In secondo luogo, ad avviso di questa Corte, la selezione dei reati operata con l’art. 550 c.p.p., comma 2, trae origine non tanto da una minore gravità degli stessi, come dimostra la varietà dei livelli sanzionatori corrispondenti alle diverse fattispecie e la vetta raggiunta con l’inclusione del delitto di cui agli artt. 624 e 625 c.p.p..
Del resto, anche in dottrina è stata espressa la tesi secondo cui alla base della scelta legislativa di escludere l’udienza preliminare per una serie di reati vi sia non tanto gli astratti limiti edittali, quanto il rilievo accordato a valutazioni di tipo “economicistico” e di funzionalità organizzativa, ritenute esposte al pericolo di compromissione dall’adozione generalizzata del modulo procedimentale previsto per i reati attribuiti al Tribunale in composizione collegiale. Ed invero, non sembra agevolmente superabile l’obiezione secondo la quale non è possibile stabilire alcun rapporto di proporzionalità diretta tra entità della pena e complessità dell’accertamento del reato.
Sicché l’assenza di un preventivo vaglio giudiziale sull’esercizio dell’azione penale sarebbe motivata, in tale ottica interpretativa, dalla volontà di limitare l’utilizzo delle risorse, da ottimizzare a favore di reati che il legislatore ha ritenuto meritevoli di un più meditato accesso al dibattimento.
Tanto premesso, appare dunque palese che limitate variazioni della pena non sono suscettibili di incidere su quelle valutazioni concernenti l’organizzazione delle risorse giudiziarie, aventi nel loro fuoco l’identità tipologica del reato (inteso come furto, indicato nel genus dall’art. 550 c.p.p. mediante il richiamo dell’art. 625 c.p.); un’identità frutto non solo di profili “tecnici”, ma anche di aspetti sociali o criminologici ritenuti meritevoli di considerazione da parte del legislatore.
Simili valutazioni sono opinabili dal giudice ordinario solo ove siano ravvisabili gli estremi della questione di legittimità costituzionale, che non appare, nella specie, venire in rilievo, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, rientrando tali opzioni normative nell’ambito della discrezionalità del legislatore, e non ricorrendo una compromissione del principio di ragionevolezza.
In terzo luogo, va evidenziato che la modifica normativa ha riguardato esclusivamente i minimi edittali, senza coinvolgere i massimi edittali che, di regola, assurgono a parametro – esprimendo la astratta gravità delle fattispecie penali – dei moduli processuali di assegnazione degli affari penali.
1.3. Va pertanto ribadito il principio di diritto, già affermato da Sez. 4, n. 1792 del 16/10/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 275078 (“Per i delitti di furto in abitazione e di furto con strappo, previsti dall’art. 624-bis c.p., pur a seguito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, che ha apportato modifiche ai minimi edittali, si procede con citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’art. 550 c.p.p. (In applicazione del principio la Corte ha annullato senza rinvio, in quanto abnorme, l’ordinanza con cui il tribunale aveva disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinché esercitasse l’azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio)”), secondo cui: “Anche a seguito delle modifiche recate all’art. 624-bis c.p. dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, l’esercizio dell’azione penale va disposta con la citazione diretta a giudizio e non con la richiesta avanzata al Giudice per le indagini preliminari di rinvio a giudizio dell’imputato”.
2. Ciò posto, ne consegue l’abnormità del provvedimento impugnato.
Secondo una costante linea interpretativa, è abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che disponga la restituzione degli atti al P.M., per avere esercitato l’azione penale – in ordine al delitto di cui all’art. 624 bis c.p. – nelle forme della citazione diretta a giudizio, senza celebrazione dell’udienza preliminare, attesa la conseguente stasi insuperabile del processo, non potendosi, da un lato, reiterare il medesimo decreto di citazione diretta (perché già, annullato) e, dall’altro, procedere con una richiesta di rinvio a giudizio, perché non corretta, avuto riguardo al titolo di reato (Sez. 4, n. 53382 del 15/11/2016, Macera, Rv. 268487).
3. I provvedimento impugnato va pertanto annullato senza rinvio e va disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Vercelli per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Vercelli per l’ulteriore corso.